E’ come quell’aria primaverile che soffia al mattino, quando il sole si è appena affacciato all’orizzonte e l’umidità sembra rivestire le nostre vene, irrigidendone il flusso sanguigno ma tonificando i sogni di quel tifoso bambino di Picanello, di Librino o del Centro Storico, che stanotte no, non è riuscito a dormire beatamente, intrappolando i respiri tra adrenalina e scenari apocalittici che corrispondevano esattamente alla faccia brutta e cattiva della sconfitta.
Il cascame residuale di dichiarazioni, probabili formazioni, voci dei protagonisti che si sovrappongono e assordano, spariscono tra le onde del mare, si dileguano come fantasmi dopo l’alba che spegne la festa di Halloween, tanto per restare in tema angloamericano: a proposito, di questi tempi in cui si dovrebbe predicare solo cautela mediatica mentre certi ululati demoniaci rischiano di deviare dall’obiettivo comune, acclarato e ineludibile, e di scalfire i remi delle vele che si avviano, dopo una regata che sfinirebbe anche Luna Rossa, verso il traguardo a stelle e strisce: smettiamola, tutti, di macchiarci di sensazionalismo, di sciorinare ipotetiche certezze, informiamo solo se, realmente, possiamo avvalerci di notizie, indicazioni e indiscrezioni. Altrimenti, e qui sentiamo il dovere di sprofondare consapevolmente nei luoghi comuni delle frasi fatte: il silenzio è d’oro e se le parole sono d’argento, una corretta informazione è di platino.
E derby fu. Catania-Palermo, giusto per dare quel tocco di banalità in cui solitamente il calcio e i suoi protagonisti spesso amano sguazzare, non è una semplice partita: è la partita. Oppure, diremo, è la partita di tutte le partite. Ora, però, proviamo a liberarci dai luoghi comuni e cerchiamo di comprenderne la quintessenza.
Solo chi è stato forgiato dalla lava, chi affonda le proprie radici sullo stesso sottosuolo che ha dato i natali al Liotru è in grado di decodificare la natura dei sentimenti che animano il pre-partita, il post-partita e, soprattutto, l’insostenibile leggerezza del nostro essere che all’improvviso prende corpo: la nostra anima sale per novanta minuti su una bilancia, la distrugge, la disintegra.
Catania-Palermo ci fa sentire vivi, è una pillola di Xanax con esagoni bianchi e neri che si alternano riducendo il nostro senso di oppressione e la voglia di vincere coincide con quella di vivere. Non c’è categoria che tenga: Serie A, B, C, D, l’alfabeto e i suoi derivati calcistici c’entrano poco. Quest’anno almeno tre giocatori (Pecorino, Biondi e Noce), si staranno mangiando le mani perché non saranno presenti alla madre di tutte le partite perlomeno per chi è nato sotto l’ala protettiva della proboscide.
Qualcuno dei ragazzi “figli dell’Etna” posta regolarmente sui social foto del vulcano in eruzione, fa spesso riferimenti alla terra natia ma le emozioni non vanno d’accordo con i post di Facebook o le istantanee su Instagram: le emozioni si esprimono, si vivono, si giocano.
Il giorno del derby resetta l’intera stagione, discosta dalle rispettive vicende societarie e l’andamento generale viene riposto in un cassetto per novanta minuti. Catania e Palermo, Oriente e Occidente e quella linea immaginaria che le unisce e le divide, come due amanti segreti che sanno di avere tanto, tutto in comune, un’isola intera, ma che non potranno amarsi mai alla luce dello splendido sole che sorge e tramonta a levante o, per l’occasione, eccezionalmente a ponente ma sotto la stessa luce.
“Cugini” ma rivali, esponenti di una diarchia sicula minacciata da più parti ma mai realmente scalfita. “Che vinca il migliore” sarebbe l’ennesimo atto dell’odiosa saga: “banalità e luoghi comuni del calcio” ma la sana rivalità non lo permette: per i catanesi i migliori sono e saranno in qualsiasi caso i beniamini rossazzurri, per i palermitani i giocatori rosanero.
Sportività sempre, ci mancherebbe, ma dopo la pandemia, gli stadi chiusi, i fallimenti sportivi dell’uno e i patemi dell’altra, per favore non toglieteci pure il sacrosanto desiderio di tifare per la propria squadra del cuore il Catania per i catanesi, il Palermo per i palermitani. Il MES del cuore per chi ama il calcio prevede un’unica forma di ristoro: è la passione, è uno sfottò privo di scaramucce, è quella battuta tipica della “liscía catanese” o dell’ironia palermitana, è quel sorriso che unisce e poi divide, quel sole che nasce e muore in luoghi diversi ma sotto la stessa luce: gli occhi della Sicilia, lucidi e stanchi, speranzosi e malinconici. Noi siamo la Sicilia! Non ce ne vogliano gli altri capolavori della natura che brillano intorno.
(fonte foto: www.lasicilia.it)