Bazzichiamo ancora in una dimensione diafana, dove è possibile scorgere i contorni dell’elefante campeggiante sul logo cucito al cuore sin dal nostro primo vagito e che, orgogliosamente, riluce di una passione rossazzurra che riecheggerà, in qualsiasi caso, in eterno.
Il tempo dei fuochi d’artificio lessicali, lapilli di rassicurazioni, pioggia benevola di meteo-speranze, si è dissolto surclassato dall’avvento di un presente boia, giustiziere di quelle pseudo-convinzioni cadute sotto i colpi inferti dalle congerie di chi non è più in grado di scalare specchi fingendo di trovarvi appigli.
La SIGI si è fatta beffa della camera caritatis che avrebbe dovuto ospitare con solennità ieratica, dialoghi e dibattiti interni e, lungo lo stesso binario infausto del chiacchiericcio da cavedio traballante, abbiamo visto crollare il peristilio che lo reggeva a malapena sotto le sciabolate a stelle e strisce di Joe Tacopina, che se n’è infischiato dell’aplomb inglese, rammentando che il suo slang richiama il presunto autocontrollo british solo dal punto di vista lessicale, scadendo però nell’inflessione.
Risultato: la comunicazione bipartisan ha condotto alla scomunica di chi non indossa vesti sacre ma aveva l’obbligo morale e sportivo di condurre una trattativa così delicata per le sorti del Calcio Catania da imporre un’ineludibile autocensura. Il computo dei milioni di euro, quei fior di quattrini che fanno appassire le nostre speranze, fuoriescono come funghi dell’Etna quasi giorno dopo giorno. Un bravo giornalista sportivo, abituato a destreggiarsi con lode o con infamia “al solito posto”, tra erba e tribuna stampa, tra penna e microfono nel post-partita, dovrebbe assurgere ad abile commercialista, ad accorto giurista, ad avveduto economista.
Se il Catania fosse una disciplina olimpica, sarebbe senz’altro la staffetta 4×100. Allora, immaginiamo quattro epoche a confronto, eccezionalmente sulla pista d’atletica del vecchio “Cibali” anziché sull’erba: da Marcoccio a Massimino, da Massimino a Gaucci, da Gaucci a Pulvirenti e da Pulvirenti alla SIGI, come se si passassero un testimone di platino che rischia di cadere a pochi centimetri dal traguardo autodistruggendosi e, pertanto, distruggendoci.
Se cade si rompe e, se si rompe, l’oscurità del fallimento sportivo avvolgerà i nostri capi già fasciati da cazzotti tonitruanti che ci fracassano i timpani da decenni, decretando la sparizione del C.C. Catania 1946, dopo 75 anni di gloriosa vita, la stessa età di papà o di mamma, di zio Tano o di nonna Carmela, la stessa generazione di chi, oggi, ci bacia, ci accarezza, ci asciuga le lacrime, si scomoda dalla poltrona per faticare al nostro posto sfidando incurante i segni del tempo. Ci ama.
Non sappiamo come andrà a finire preghiamo il “dio Calcio” di sconfessare la nostra fermezza e, di tanto in tanto, sguazziamo nell’illusione di “soldi trovati” che rabberciano la nostra amata casacca a guisa di cerotto sulle nostre ferite.
Ma i baci e le carezze, le lacrime e i sorrisi di mamma-papà-zio-zia-nonno-nonna Catania mancherebbero come l’aria che respiriamo, quella pura di montagna, e i discendenti del ’46 che minacciano di sostituire indegnamente quel pezzo di famiglia che se ne va via per sempre, saranno genitori adottivi, zii acquisiti, nonni che non si ricordano più di noi.
Per questo i soci dissidenti della SIGI dovrebbero mettere mano al portafoglio dopo aver consultato il cuore e spento il cervello, salvando il Calcio Catania oggi ma soprattutto domani e dopodomani e solo a patto che trovino, prima, benefattori incoscienti, rifuggendo questi travestimenti da ricercatori d’oro o, peggio, improvvisandosi ludopatici seriali da “gratta e vinci” che se trovi i soldi bene, altrimenti non potrai onorare la prossima scadenza. I “pazzi” della SIGI non bastano più. Adesso occorrerebbe qualcuno che rasenti una forma di follia patologica ancora sconosciuta ai luminari.
(Fonte Immagine: CalcioCatania.it)