Catania e Modena hanno avuto due destini paralleli, anche se in tempi diversi. I canarini, freschi di successo con la promozione in Serie B, hanno vissuto un periodo molto simile a quello vissuto dai rossazzurri nel 2017. In considerazione di ciò, abbiamo chiesto lumi ad un collega modenese, cercando analogie con quanto accaduto in Emilia qualche anno fa, e provando a capire se a Catania si sta percorrendo la strada giusta.
Il Modena ritorna in Serie B dopo anni di sofferenza. Avendo vissuto in prima persona un’esperienza del genere, ritieni sia rigeneratrice una ripartenza dagli inferi?
“Modena, così come Catania, ha vissuto anni decisamente bui. La mancata promozione in A nel 2013, ha avviato una regressione culminata con il fallimento e la radiazione. È inutile negare che la ripartenza è stata difficile, anche perché, a differenza di Catania chela radiazione è arrivata ad aprile, praticamente a campionato concluso, a Modena arrivò ad inizio stagione. Ripartire dal basso può fare soltanto bene, anziché vivacchiare, anche perché a quel punto il fallimento diventa inevitabile.
Catania e Modena hanno avuto un percorso abbastanza simile con la esclusione dal torneo. Riscontri anche tu delle analogie?
“Si, percorso analogo a parte le tempistiche, come detto pocanzi, e il fatto che, a differenza del Catania, il Modena non ha potuto disputare le sue ultime gare al Braglia per un divieto da parte del Comune. Ritengo che quando ci sono delle situazioni così complicate, non si dovrebbe procedere nemmeno con l’iscrizione, perché altrimenti poi subentrano tanti casini”.
Ci racconti qual è stato tutto l’iter che ha portato all’iscrizione del Modena in Serie D? Ritieni a Catania si stia percorrendo la strada giusta?
“Diciamo che l’iter è pressappoco simile per tutti, cambiano le possibilità che quella piazza riesce a dare, soprattutto a livello attrattivo. Il Modena, ad esempio, riuscì a ripartire dalla quarta serie, la prima dilettantistica, riuscendo dopo un po’ a ottenere nuovamente la vecchia denominazione, ovvero FC Modena. All’epoca, la nuova proprietà puntò tantissimo sui giovani. Ricordò che si acquistò parte del settore giovanile di una società locale”.
Al primo anno di Serie D il Modena non riuscì a centrare la promozione raggiungendola l’anno successivo. Quanto bisogna spendere per vincere senza patemi d’animo?
“Il Modena aveva costruito una rosa di 43 giocatori. Non aveva speso poco, ma quell’anno lì c’è stata l’esplosione della Pergolettese, che nello spareggio finale col Modena, riuscì a sorpresa ad ottenere la promozione ai danni dei canarini. Credo che i soldi giochino un ruolo importante, ma bisogna anche conoscere bene la categoria e mettere al posto giusto le persone giuste, perché la D è un campionato dove ogni anno ci sono degli exploit inaspettati”.
A Modena i nomi degli investitori interessati si sapevano già prima del bando o si seppero soltanto dopo la pubblicazione del bando comunale?
“I nomi degli investitori si sapevano già prima del bando. Si trattava di cordate locali. La prima che saltò fuori fu quella dell’avvocato Samorì, con il suo staff che doveva comprendere pure Setti, l’attuale proprietario dell’Hellas Verona. Ci fu anche un gruppo rappresentato da Luca Toni ed un altro da Romano Sghedoni, presidente del gruppo Kerakoll. Il bando è servito soltanto per capire chi di questi avrebbe aggiudicato il nuovo titolo, ma i nomi, a livello ufficiale, si sapevano già prima, anche perché l’organigramma lo componi ancor prima di riuscire a vincere la gara comunale. Comunque, qui si presentarono in tanti, locali e non, e soprattutto gente di calcio”.
Nelle scorse settimane si vociferava di un gruppo modenese interessato al Catania. Credi, valutando da esterno la situazione catanese, possano esserci possibilità che un gruppo abbiente dell’Emilia possa interessarsi ad un progetto per rilanciare il nuovo Catania?
“Ne ho sentito parlare anch’io, ma non so quanto ci sia di vero. Onestamente, sempre se c’è ne sia la possibilità, ritengo sia più opportuno ripartire da imprenditori locali. Qui a Modena, ad esempio, a permettere la rinascita sono stati due grossi gruppi emiliani: Kerakoll e Rivetex, attuale proprietaria. In Serie D, soprattutto in un periodo come questo, è difficile che un imprenditore estero possa investire, magari lo fa appena la squadra arriva in categorie più consone. A parte Bari, quasi sempre la rinascita parte dal territorio stesso. È fondamentale che ci sia gente catanese capace di far ripartire il giocattolo, altrimenti diventa complessa la ripartenza, anche perché la D non dà introiti e gli investitori esteri lo fanno principalmente per business”.