A Catania o “parramu assai” o non parliamo proprio. E’ la città, per antonomasia, dell’omertoso “non detto” o del “troppo che stroppia”, quando al silenzio d’oro preferiamo sproloqui d’ottone.
Eppure, quando arriva il momento di aprire bocca per costruire insieme e fare fronte comune subentrano sempre il timore dei poteri forti, che potrebbero schiacciarci come formiche da un momento all’altro, un accidioso lassismo che ci contraddistingue atavicamente e, in ultima istanza, un improvviso sprofondamento delle nostre priorità primordiali: “Ma sì, certo che mi interessa il Catania però ormai sono stanco, ho perso entusiasmo, non è più come prima..”.
Ecco, aggiungiamo noi: proprio perché “non è più come prima” e questo ci sembra lapalissiano, dovremmo imbracciare volontà ferrea, armarci di una furente brama di rivalsa, pretendere trasparenza e condivisione di informazioni con la piazza da parte dell’amministrazione comunale.
Non cominciamo con la menata del patto di segretezza: non ci riferiamo certo ai dettagli su eventuali trattative in corso tra cordate e Comune o a manovre di avvicinamento pragmatiche. Ci riferiamo alla “pubblica informazione”: il Comune si limita, attraverso intervista, Telegiornali locali, comunicato o qualsivoglia strumento mediatico, di tranquillizzare la città di Catania auspicando manifestazioni d’interesse concrete e facendo di tutto per favorirle.
Il Comune dovrebbe indire un bando pubblico in tempi brevissimi, aperto a tutti, e gli imprenditori che si fanno avanti ma poi optano repentinamente dietrofront sono tenuti a spiegare alla città di Catania, se non è l’amministrazione comunale a farlo, per quale motivo dopo la manifestazione d’interesse hanno deciso di virare altrove o, comunque, di arenarsi. Perché? Ce lo dica il Comune, ce lo dicano i diretti interessati. Spiegatelo a chiare lettere e senza nascondervi dietro un dito. Abbiamo il diritto di sapere. Dopo anni di oblio (non mesi, anni), meritiamo chiarezza e trasparenza da parte di tutti, soprattutto del Comune di Catania.
Catania, per quanto degradata, merita palcoscenici ben diversi. Catania, signori miei, vantava un centro sportivo, “Torre del Grifo Village”, che dava lavoro a decine di famiglie e che deve tornare a essere la casa della squadra di calcio che la rappresenterà la città anche ripartendo dalla Serie D. Affinché ciò accada, occorre un piano industriale degno di questo nome, pluriennale, e un soggetto imprenditoriale forte economicamente, competente in materia calcistica, che si circondi di collaboratori altrettanto competenti.
Arripizzare non serve. Le “pezze” sono appannaggio degli incapaci, di chi non è in grado di progettare o, molto più semplicemente, non ha le possibilità economiche e le abilità idonee per riuscire nell’intento. Una colletta di qua, una colletta di là, non è quello che serve al Catania Calcio per ricominciare dai bassifondi del dilettantismo e risalire la china verso l’élite. Ripartire da volti nuovi e illibati rappresenta una conditio sine qua non. Le candidature forti vanno coccolate dall’amministrazione comunale che dovrebbe tenersi strette le manifestazioni d’interesse di soggetti forti e decisi. In questa fase, dipende tutto da Palazzo degli Elefanti. Niente bando? Ok, dimostrate coi fatti che l’iter prescelto sia quello giusto. La città è allo sbando, quale migliore occasione di redenzione?