La decisione del Prefetto di Catania di vietare l’accesso al Settore Ospiti dello stadio “Angelo Massimino” ai tifosi dell’Acireale per questioni di ordine pubblico, ha scatenato un putiferio mediatico, a nostro modo di vedere, più che legittimo.
Ora, senza entrare nel merito della decisione perché siamo solo tifosi che si occupano di informazione e non abbiamo né la posizione né gli strumenti né le conoscenze adeguate per sostituirci alle istituzioni, ci limitiamo a invitare alla riflessione i nostri lettori, citando il post dell’avvocato Giuseppe Rapisarda che, come spesso accade, sintetizza alla perfezione la querelle, concentrando la dissertazione sulla questione “agglomerato urbano etneo” che forse è sfuggita al Prefetto in maniera ingiustificata. Non dimentichiamo che la città di Catania, è costellata da centri demograficamente minori, limitrofi e contigui, che la rendono nucleo centrale di un’area urbana molto più estesa in cui vivono regolarmente da decenni centinaia di migliaia di catanesi.
Come l’amore impossibile tra Aci, figlio di Fauno e pastore di pecore, e Galatea, ninfa delle Nereidi, anche i cittadini catanesi che amano il Catania non potranno sublimare il loro sentimento alla luce del “Massimino”, a causa di un certificato di residenza menzognero sulle loro radici, di pochi chilometri, quando basta per lasciarsi schiacciare dal masso scagliato da Polifemo.
L’AVVOCATO RAPISARDA
“Se la proibizione di accesso riguarda i residenti di Trezza, Aci Castello o Aci Sant’Antonio per citare tre realtà urbane che sono casa nostra, nostro cuore e di fatto estensioni di Catania stessa, confesso che perdo il filo della logica, della conducenza e del buon senso e non solo.
Si smarrisce Il parametro della conformità di quanto adottato al rispetto stesso addirittura dei principi costituzionali. Con esso la ratio, il fondamento base di una decisione che non può contrastare mai ed in ogni caso, pertanto, con i principi elementari, di base, che presiedono il nostro ordinamento normativo in materia di libertà di movimento e della soglia di pericolo che può giustificare in assenza di reati misure interdittive alle libertà individuali.
Se davvero un castellese o un residente della cintura costiera a ridosso di Catania, un abitante di Aci Catena, di fatto siamo sempre a Catania stessa, non scherziamo, non può accedere nei restanti settori dello stadio, non saremmo più di fronte al semplice, per quanto mai gradito, divieto di trasferta, ma ad una misura tanto grave giuridicamente quanto sciocca e francamente ignorante in senso letterale della geografia etnea e della mobilità quotidiana del nostro territorio.
Noi Catanesi in maggioranza assoluta abbiamo smesso di risiedere in città, stretto senso intesa, dagli anni 60/70 (oggi contiamo meno di 300mila abitanti, negli anni ’70 471mila, ndr). Stiamo in maggioranza nei paesi che senza soluzione di continuità portano a Catania. Dalla fascia costiera e su quella etnea. Come è noto io, ad esempio, sono un abitante di Tremestieri Etneo che fa va e vieni più volte al giorno con Catania. Come me migliaia e migliaia di persone da tutti i paesi e paesini abitati molto più da catanesi che autoctoni originari. Vale per Gravina, Mascalucia come vale per Aci Bonaccorsi o Aci Catena e dintorni. Il flusso di macchine nelle ore di punta, è noto a tutti, verso Catania è da nevrosi ordinaria.
Non può non sapere tutto ciò il Prefetto. Non può non conoscere questa imponente realtà territoriale che ha fatto dei paesi tutto intorno, abitati in gran parte da catanesi, una mera estensione di Catania stessa.
Pertanto, sul punto, si riveda o si chiarisca il provvedimento da subito”.