I 40.000 dell’Olimpico li ho visti solo nei video di YouTube, ero ancora in fasce ma, ne sono certo, al triplice fischio dell’arbitro Gianfranco Menegali in Catania-Cremonese (0-0) del 25 giugno 1983 avrò smorzato il pianto a dirotto, fregandomene pure della tanto agognata poppata pomeridiana.
C’ero eccome, invece, il 13 maggio 1995 quando Angelo Busetta veniva portato in trionfo dai suoi giocatori in quel di Gangi, tra lacrime di gioia e speranze futuristiche, salutando con un arrivederci il CND che avremmo rivissuto, fugacemente, nei giorni nostri.
C’ero anche quando Cicchetti crossava per Manca scatenando l’apoteosi del vecchio “Cibali” o quando Michele Fini invertiva il piede naturale con quello d’appoggio, che nemmeno un mancino puro avrebbe potuto fare meglio, mettendo la palla nel sette e mandando in visibilio il pubblico sugli spalti: 9 giugno 2002, fu Serie B.
C’ero, alle spalle dell’attuale responsabile del settore giovanile del Catania, Orazio Russo, perché riteneva ingiusto che l’arbitro tardasse a decretare la fine delle ostilità in quel 28 maggio 2006, Catania-Albinoleffe 2-1, che fotografò alla perfezione il sapore lento della nostra procrastinata vittoria: Umberto Del Core spinse la palla con un tocchetto acuito dallo sguardo “pesante” dei 25.000 spettatori (lo stesso che mister Giovanni Ferraro ha riconosciuto al gol di Lodi contro il Cittanova al 96′), lemme lemme s’insaccò dentro i nostri cuori e, da altre lacrime, quelle degli adolescenti che avevano inumidito di gioia la terra battuta del “Grotta Polifemo” di Milazzo (di questi tempi, era il 25 marzo 1995 quando Maurizio Pellegrino e Mimmo Crisafulli lo espugnarono, inanellando dieci vittorie consecutive, fino a Gangi, che valsero la promozione in Serie C1), germogliò finalmente una realtà lussureggiante: la Serie A.
Ci siamo abbeverati dalle mammelle prosperose di mamma Etna per otto anni, prima di un lento e inesorabile calvario, iniziato nel 2014 e compiutosi il 9 aprile 2022. Otto anni di estasi, altrettanti di oblio, culminati con la cancellazione del club, eppure il numero dell’infinito, nel bene, nel male e ancora nel bene, ci ha condotto sin qui, fino a una promozione dalla Serie D alla Serie C.
Rispetto ai fasti dell’età moderna rossazzurra, ogni festeggiamento sarebbe ingiustificato da un’arsura da latitanti trionfi “di un certo rilievo”. E’ vero: Catania merita il palcoscenico della Serie A, merita l’Europa (perché no?), ma gli step sono vari ed eventuali, e il primo si chiama Serie C.
Ora che l’elefantino è tornato a barrire cingendo nella sua proboscide i proseliti di sempre, dallo zoccolo duro agli iniziati, la via lattea dei sogni rossazzurri disegna, finalmente, una scia di speranza su cui camminare a passo sicuro dopo aver girandolato in quei mesi nefasti e indecorosi.
Melior de cinere surgo significa anche questo: non solo rinascere dalle proprie ceneri, ma ridestarsi, rivivere i fasti perduti e, laddove possibile, sognare in grande, sognare l’Europa.
Agli scettici di oggi rispondiamo che nel 2000 nessuno avrebbe immaginato il Catania in Serie A, capace di battere l’Inter del triplete 3-1, vincere un derby per 0-4 a Palermo con un gol da Holly e Benji di Giuseppe Mascara o espugnare il vecchio “Delle Alpi” infliggendo alla Juve un secco 1-2. Eppure è successo.
Non si tratta solo di “sognare non costa niente” ma di avere fiducia nella dirigenza attuale che ha iniziato col piede giustissimo e proseguirà altrettanto bene secondo un business plan ben definito che prevede una crescita societaria e territoriale sincrona. Ci appelliamo alle forze politiche, pregandole di lavorare soprattutto dopo le amministrative senza ostentare colori e stendardi sventolandoli sulla matita indelebile del voto al fine di orientare la scelta della casella. Non lasciate solo il presidente Rosario Pelligra e il suo entourage, non abbandonate né il vice presidente e amministratore delegato, Vincenzo Grella, né il direttore generale Luca Carra, non ve lo perdoneremmo mai.
E’ tempo di festa, ora. Non è solo una promozione in C, è una promozione di una città intera relegata al dilettantismo urbano dalle nostri amministrazioni a cui il fato, tanto generosamente, fornisce un’occasione di redenzione. Perché “la fede non conosce categoria”, va al di là della lettera dell’alfabeto che contrassegna il campionato d’appartenenza con tutto il suo corollario del livello di gioco. Non è voler banalizzare il momento storico strumentalizzando frasi fatte, è voglia di riemergere dalla melma che ci aveva inghiottiti.
Il campionato Cadetto ci aspetta, il preludio all’elite del calcio è lì, a un passo, come se fosse ogni giorno il 9 giugno 2002. CrediamoCi fin d’ora, tutti, appelliamoci al “fattore C”, “C” come Catania, come Cibali, come gli spareggi con Como e Cremonese nel 1983, come Canicattì, come Caltanissetta, come Serie C, come Club Calcio Catania, come il Cross di Cicchetti, come la “C” di Del Core ma, soprattutto, “C” come Categoria di passaggio e come “Campionato cadetto”.
(foto: catania ssd)