Guardiamola attraverso gli occhi dei protagonisti questa promozione in Serie C. Il Catania ha stravinto, ora può concentrarsi sui record da centrare nell’ultimo scorcio di stagione regolare e sullo scudetto di Serie D che rappresenterebbe il primo trofeo per la squadra maschile (dato che le ragazze di mister Peppe Scuto hanno messo in bacheca il 1° in assoluto aggiudicandosi la Coppa Italia d’Eccellenza).
Agli occhi di mister Giovanni Ferraro: sguardo sincero, umile, spontaneo, verace, fanno da continuum, spaziale sulla panchina e professionale sul campo da gioco, quelli sorridenti e prodighi di consigli di Michele Zeoli. Ma è, ancor prima, la vittoria della società, cioè di coloro che hanno individuato lo staff tecnico adatto all’impresa.
Ed ecco gli occhi riflessivi e sapienti del direttore sportivo, Antonello Laneri, principale artefice dell’allestimento dell’organico che nulla avrebbe potuto senza il contributo d’esperienza in calcio internazionale del vicepresidente e amministratore delegato, Vincenzo Grella: sguardo intelligente, espressivo e intuitivo.
Inutile negarlo: nello sguardo passionale, ottimista, entusiasta e naturalmente proclive a scorgere nel presente le cellule altrui invisibili che ne costituiranno il futuro, è nell’uomo-tycoon della svolta, il presidente Rosario Pelligra, che il Catania ha appena iniziato a costruire le proprie fortune.
LA SQUADRA
Chi non ha disputato alcun minuto di gioco, chi pochissimi, chi tanti: tutti i giocatori che compongono la rosa del Catania, o che ne hanno fatto parte fino al mercato di gennaio, hanno contribuito alla causa versando un granello di talento, una manciata di sorrisi o, quantomeno, una spolverata di personalità utili a plasmare l’identità di un gruppo che, per affiatamento, sarà arduo replicare.
Pensiamo al giovane Klavs Bethers, sorriso austero e fiero, forse per genetica lettone, forse per indole, certamente efficace. Gli fa da contraltare la risata catanisazza di Ciccio Rapisarda, un figlio del popolo che ne incarna perfettamente sogni e speranze, un mattoncino di pietra lavica diventato grattacielo.
“Fascia del capitano”. Scritta così, rievoca una vecchia pubblicità di un dentifricio. Ma il nostro capitano, Francesco Lodi, non è specializzato nell’igiene dentale, semmai nella pulizia dei palloni sporchi a centrocampo, che smista e dirige con maestria, indirizzandoli col goniometro dove preferisce. Il sorriso di Ciccio è “catanese”, ad ogni passo che compie in Via Etnea e ad ognuno compiuto sul manto verde del “Massimino” è come se un granello di catanesità gli entrasse sullo scarpino, senza pungere né sfregare, ma penetrandogli delicatamente la cute, fino a diventarne parte integrante.
Ride poco Filippo Lorenzini, soprattutto quando il dovere chiama, allora il suo sorriso diventa appena accennato. E’ lo sguardo dell’abnegazione, dell’obiettivo sempre al centro del mirino, sono gli occhi della tigre che ruggisce senza ausilio gutturale, basta lo sguardo a incenerire l’avversario. Gli occhi della zanzara li avete mai visti? Noi no, ma abbiamo compreso come sono fatti grazie a Giuseppe De Luca. Sguardo vispo, penetrante, l’incubo di ogni difensore. A Jefferson, invece, gli occhi sorridono. Burlone, uomo-social, “visione brasileira” della vita, sguardo alegro, eclettico, esuberante. Manuel Sarao, sguardo da pugile, attento a schivare i colpi dei difensori, intento a controbatterli. Osserva e bracca la preda, lotta, suda, si danna l’anima. Marco Chiarella, rima con gazzella e non ci sembra del tutto casuale: struttura fisica compatta ma longilinea, agile, elegante, scattante. Ubriacante. Lo sguardo della freschezza e di chi la sa lunga rivela un acume insolito per la sua età, lo si ritrova in ogni giocata spumeggiante del campione che diventerà.
Dobbiamo annoverare Mattia Vitale. Sorriso smaliziato il suo, i suoi dribbling suonano come uno scherzo telefonico, forse per questo, dopo ogni gol, la sua esultanza consiste nel portare il mignolo al mento e il pollice all’orecchio, come per dire: “pronto? Beh, io sicuramente tu, caro difensore, un po’ meno…”. Non ci siamo dimenticati di Marco Palermo. Attacca ogni pallone come se fosse l’ultimo della sua carriera. Il suo sguardo, tra il raggiante e il radioso, contribuisce a stampare sulle sue labbra una “V” di vittoria che ne incarna alla perfezione la mentalità vincente (osservate le foto su Google se non ci avete fatto caso).
L’ultima menzione, ma potremmo continuare fino alla fine della rosa, la riserviamo a Giuseppe Rizzo. Il suo sorriso è un misto tra cavaddu e gladiatore, un ibrido di ardua decodifica, non nitrisce ma emette un suono più simile al ringhio quando scende in campo e non si ferma mai, recupera palloni, li smista con sapienza.