Torna l’appuntamento settimanale con la rubrica interamente dedicata ai tifosi del Catania. Ad accogliere il nostro invito, stavolta c’è l’amico Roberto Nicotra, grande sostenitore dei colori rossazzurri. Roberto ci ha fornito il suo punto di vista su tutto ciò che riguarda il tentativo di rinascita calcistica ai piedi dell’Etna.
Di seguito le sue risposte alle nostre domande.
Roberto, innanzitutto grazie per aver accolto l’invito della nostra redazione. Come stai?
“Grazie a voi. C’è una sola cosa che amo più della mia squadra del cuore, ed è la mia città. Vivo per lei. Non sto bene perché la vedo davvero messa male, in uno dei suoi momenti più bui”.
Essendo questo il tuo primo intervento da noi, ti chiedo di descrivermi, brevemente, il tuo rapporto con il Calcio Catania nei panni di tifoso.
“Un percorso anomalo il mio: mio padre e mio nonno non mi hanno trasmesso questa passione: mi sono “ammalato” da solo, quando per la prima volta misi piede al Cibali, il 28 gennaio del 1998, in occasione di Italia-Slovacchia. Dapprima non mi innamorai del Catania, ma di quello stadio e della sua atmosfera unica. In quello stesso anno il Catania veniva promosso dalla C2 alla C1 e iniziai subito a seguirlo. Poi misi mano su quel primo sito internet e quel primo “muro dei tifosi” dove ci si confrontava quotidianamente, mettendo in contatto tifosi da tutto il mondo in maniera pionieristica per l’epoca, e nacquero le relazioni di amicizia che tutt’ora mi onoro di avere, con tutti coloro che poi hanno iniziato ad occuparsi professionalmente del Catania e che tutt’ora lo fanno. Da Max Licari a Paolo Di Caro, da Luca Allegra a Luigi Pulvirenti, da Fabio da Hong Kong a Tony da New York, persone molto distanti geograficamente, ma unite da una genuina passione comune. Poi per mettermi a studiare e laurearmi mollai quell’impegno che si era fatto gravoso, ma sono sempre rimasto vicino alle vicende del Catania, quotidianamente”.
Sicuramente, così come tanti altri tifosi, ti starai chiedendo che ne sarà del calcio ai piedi dell’Etna.
Sei ottimista o pessimista guardando al futuro e, in ognuno dei due casi, perché?
“Sono ottimista perché i numeri ci danno ragione: il bacino di utenza della città e la “qualità” della tifoseria rossazzurra, sono tra i primissimi in Italia, ed è impensabile che questo non faccia gola a nessuno: con il Catania si possono fare tanti soldi. La preoccupazione deriva dal ruolo del Comune in questa fase così delicata, che coincide con la presenza di un sindaco sospeso, forse di una autorevolezza dell’Istituzione non ai massimi storici, e anche di qualche mezzo passo falso iniziale che almeno dal punto di vista comunicativo a mio parere è già stato fatto”.
Ieri in un tuo post sulla tua bacheca di Facebook hai fatto un discorso relativo ad un clamoroso ritorno di Antonino Pulvirenti.
Cosa ti fa pensare ciò?
“No, per carità, non so nulla riguardo questa eventualità, ho solo espresso un timore ed una vaga sensazione relativa alla incapacità che le cose cambino davvero, in una Catania “gattopardiana” che mi piace poco. Un ritorno di Pulvirenti per me sarebbe una catastrofe, ma bisogna anche dire che rispetto a ciò che abbiamo visto ultimamente, quella era una proprietà seria e solida. Gli sbagli però si pagano, e non credo che sia pensabile un ritorno”.
Infine, esprimi un tuo giudizio sull’operato dell’amministrazione comunale.
Reputi stia facendo l’impossibile per ridare lustro, calcisticamente parlando, alla città dell’elefante?
“Ho già toccato il punto, aggiungo solo questo: al timone c’è un sindaco (sia pure sospeso) che è un vero tifoso, tutti gliene diamo atto e la sua storia personale parla chiaro. Sono certo che avrebbe voluto con tutto se stesso fare molto di più, nei limiti delle sue competenze e dei suoi poteri, per impedire che facessimo questa fine. Se non ci è riuscito, suo malgrado, le cose sono due: o è stato molto sfortunato, oppure davvero poco incisivo.
Adesso però la palla passa davvero alla giunta, e dovranno dimostrare di essere autorevoli e capaci. La storia parlerà per loro, in base al risultato che porteranno a casa. Altrove hanno fatto presto e bene, qui temo che i presupposti siano eccezionali”.