C’erano una volta Grella, Pelligra e Bresciano…Quella che potrebbe trasformarsi nei prossimi anni in favola rossazzurra, inizia così:
«Per caso eravamo tutti e tre in Australia a vedere una partita e in quel momento è uscita fuori la notizia che il Palermo era stato acquistato dal City Group – si legge su cronachedispogliatoio.it, un’intervista ricca di spunti che vi invitiamo a leggere integralmente sul sito della testata sopracitata-. Così Bresciano ha detto a Pelligra: ‘Perché non compri il Catania?’ Sapevamo delle difficoltà del club, allora gli ho promesso che sarei andato in Italia per recuperare qualche informazione in più e che gli avrei fatto sapere. Qualche tempo dopo Rosario aveva in programma un viaggio in Italia legato alla squadra di basket di Varese, così gli ho suggerito di prendersi anche due giorni di tempo per visitare Catania per conto suo. L’ha fatto e quando è rientrato ha presentato tutta la documentazione necessaria per la manifestazione d’interesse».
Oggi la squadra, con Ciccio Lodi ancora in campo, sta dominando il campionato di Serie D e si prepara al ritorno tra i pro, ma le ambizioni sono altre. «I tifosi ci chiedono di salire in A il più veloce possibile» ammette l’ex centrocampista australiano. «Io cerco di essere onesto: è importante, se ci arriveremo, avere una base solida per restarci, ed è su questo che lavoriamo. Per questo motivo c’è questa spinta a fare sempre qualcosa in più: qua non si dorme dopo pranzo, non c’è la pennichella».
«Catania me la ricordavo come una delle grandi del sud Italia. Con un seguito importante, un tifo caloroso e allo stesso tempo impegnativo. Con un potenziale enorme. Non avevo grande conoscenza della città: sono rimasto sorpreso da quanto è bella. Purtroppo viene esaltata pochissimo. Quel che ho detto a Pelligra per convincerlo ad acquistare il club è che se avessimo fatto un calcio sano e onesto avremmo avuto grande successo.
Oggi stiamo gettando le basi, creando una nuova cultura del lavoro lasciando ai dipendenti che abbiamo scelto la libertà di esprimersi. Vogliamo arrivare più in alto possibile, ma senza metterci una scadenza. Ogni passo deve essere solido, la velocità non è importante. So bene quanto è difficile venire promossi e tornare protagonisti in Italia. Ho vissuto a Empoli da quando ho smesso di giocare, anche se ho girato tantissimo. Alla fine ho vissuto più lì che in Australia. È dove, da calciatore, ho conosciuto mia moglie andando a comprare un paio di scarpe. Mio figlio, poi, gioca ancora nel settore giovanile dell’Empoli».
«In realtà non ho un modello di riferimento particolare, penso di ispirarmi a tanti dirigenti conosciuti durante la carriera. In Italia se guardiamo alla parte sportiva ce ne sono tanti validi. Il modello di Empoli, poi, è particolare: si può mettere in pratica in una piazza che ti dà la possibilità di fare quel tipo di calcio, non è applicabile a tutte le città, dove c’è un altro seguito e quindi anche una certa esigenza e pressione. Però ci sono senza dubbio delle cose che si possono imitare».
«Se ho scoperto qualcuno che oggi è in Serie A? Non voglio fare nomi, non mi sembra professionale, ma ne ho visti tanti, anche nei vari settori giovanili. Per me è stata una scuola: sono entrato dentro la ‘macchina’ del calcio, ho capito quali erano i vari passaggi e adesso tutto questo è fondamentale per guidare il Catania”.