C’è tutta una città in netta difficoltà. Se “u Catania signau?” è stata spodestata dalla nuova espressione “Tacopina fimmau?”, con pause lunghe (forse) solo novanta minuti, qualcosa non sta andando per il verso giusto.
Deontologicamente, il codice morale più virtuoso imporrebbe al tifoso di stringere al collo una sciarpa infischiandosene di ciò che accade fuori dai campi di gioco e di allenamento; razionalmente, è diventato impossibile sia a causa del bombardamento mediatico sulla querelle SIGI-Agenzia delle Entrate-Comune di Mascalucia, per la serie “il triangolo no, non l’avevo considerato”, sia perché le voci e le dichiarazioni si sono susseguite, sovrapposte e, talvolta, interposte.
Allora proviamo a riavvolgere il nastro e riassegnare i legittimi ruoli. I legali si occupino, nella fattispecie, di giurisprudenza sportiva e transazioni fiscali, i giornalisti di scongiurare formule espressive disfattiste ma acchiappa-like, i tifosi di sostenere la squadra a distanza, perché la pandemia lo impone, ma anche sui social: i giocatori leggono, si informano, si inalberano se ritengono che il voto in pagella non rispecchi la prestazione fornita; i dirigenti idem: accettano le critiche, e non potrebbe essere altrimenti perché se il percorso fosse stato ineccepibile sotto ogni punto di vista oggi saremmo la Ternana di turno, ma non possono accettare in una fase così delicata per le sorti della storia rossazzurra quell’accozzaglia di bastoni e carote, a seconda del risultato finale, che condannano o pontificano un gruppo solido e ben orchestrato da mister Raffaele.
Qui, l’unica a rischiare la lesa maestà è il Catania. Soci/finanziatori, giornalisti, tifosi, aministratori e burocrati: gli attori in scena sono molteplici e variegati ma l’obiettivo dev’essere uno e uno solo: il Catania a Tacopina. Remare contro a che serve? Osteggiare un percorso già di per sé irto di pericoli condurrebbe solo a ripercussioni e ritorsioni.
Da queste parti solo all’Etna è concesso eruttare lava, scagliare lapilli e incenerire l’asfalto. Invece la sensazione di pour parler fine a se stesso o, peggio, controproducente, che abbiamo avuto nel corso di questi mesi di passione pre-closing somigliava tanto ai lapilli sparati disordinatamente in ogni dove, a fiumi di parole eruttati da tutti i protagonisti tesi ad incendiare certezze di marzapane fino a ricoprire di cenere anche le più rosee aspettative.
Basta sguazzare nell’oceano dell’incertezza sospesi tra istinto autolesionista e bramosia di sensazionalismi, basta con i sedicenti soloni interdisciplinari, a qualsiasi categoria essi appartengano. Questo vuole essere un monito, che parte da un’indagine introspettiva mirata anzitutto all’autocritica ma innevardone i buoni propositi tra Piazza Spedini e Via Magenta, tra schermi e teleschermi, tra pagine web e omologhi anglofoni.
Tacopina impugnerà quella benedetta penna e stavolta la sigla che più delizierà i nostri padiglioni auricolari spalancati per l’occcasione come parabole non verrà apposta su un foglio ma ascoltata: sarà la sigla finale dell’ultima puntata di quella definita da molti “telenovela” ma a che noi è sembrata, più che altro, un thriller. Keep calm e Forza Catania!