Premetto che il derby, almeno per me, era un succo di frutta gusto ace prima di avvicinarmi al calcio. Ora, vorrei bere tutta d’un sorso questa tanto agognata vittoria che manca da tre turni. Ho sentito parlare in giro di “pareggite”, quindi scomponendo il sostantivo vengono fuori il suffisso -ite e il lemma “pareggio”. Bene, bene. Ergo, si tratta forse di un processo infiammatorio che anziché accanirsi sui tessuti tendinei dei giocatori si innesta metafisicamente sui risultati? Parrebbe di sì.
Adesso basta pero! Se il Catania vuole ambire a palcoscenici migliori, che sinceramente le spetterebbero di diritto per blasone e bacino d’utenza, non può sempre incespicare sul più bello: il rigore di Dall’Oglio oltre lo scadere, la scialba prestazione soporifera di Pagani o l’incloncudente trasferta di Vibo Valentia. Stavolta si gioca il derby, roba che da queste parti catalizza l’attenzione persino dei non-calciofili, come se si trattasse di una piccola Nazionale: parenti, zii, nonni, gente che non ha mai assistito a una partita di calcio e chiede per novanta minuti: “ma noi da che lato attacchiamo? Ma siamo quelli con la maglia arancione?”, si riuniscono o, perlomeno, chiedono: “cos’ha fatto il Catania?” e si interessano ai colori rossazzurri solo per il puro piacere edonistico del campanile.
Insomma, un solo risultato a disposizione oggi: la vittoria. Anche per antiinfiammatori contro la pareggie credo che la Pfizer non li abbia ancora messi in commercio. E poi, se putacaso occorresse un richiamo? Meglio vincere su.
Francesca Tremoglie
(foto: lega-pro.com)