Rispettare le opinioni altrui è un obbligo morale ma, talvolta, condividerle è un sacrilegio. A Catania siamo abituati, tutti, e chi scrive è in pole position e non si esime da questa corresponsabilità tuttologa, a emettere giudizi e sputare sentenze in una pozzanghera di corbellerie.
Ci hanno messi gli uni contro gli altri: tifosi guelfi e tifosi ghibellini, giornalisti pro-SIGI e giornalisti pro-Tacopina, strenui sostenitori della matricola 11700 che, diciamoci la verità, fino al lancio del brand post-salvataggio in pochi conoscevano e idolatravano, e chi si dice pronto a ripartire dalla Serie D con la speranza di “tornare grandi” e riacquistare il titolo Calcio Catania 1946.
Come fecero, tanto per citarne un paio, Florentia Viola e Napoli Soccer, prima di rinascere come A.C.F. Fiorentina ed S.S.C Napoli. E non venite a dirci che i viola non sono più quelli di Batistuta o che a Napoli non si identificano con il club attuale perché non è lo stesso dello scudetto di Maradona.
Comunque sia, riteniamo che nessuno abbia ragione né noi, né loro, né gli uni, né gli altri. La “ragione” è un oggetto non identificato: è un’utopia, è un idillio, è qualcosa per cui l’uomo si batte e, inconsapevolmente, non fa altro che accumulare sconfitte è il trionfo dell’arbitrarietà e della discrezionalità.
Il buon senso è l’unico iter percorribile verso una salomonica moralità. Appellarsi ad esso, ergo, significa comprendere che chi detiene un pensiero in antitesi al nostro abbia “le proprie ragioni” per pensarla in quella maniera come noi possediamo le nostre per pensare esattamente il contrario. E’ già un buon punto di partenza.
Ma l’errore, in questo momento storico, sta proprio nel lasciarsi condizionare dagli eventi societari e “guerreggiare tra poveri”. Dovremmo fare squadra, compattarci, pretendere risposte ed evidenza di fondi, progetti e uomini. Sì, perché abbiamo un irrefrenabile bisogno di uomini veri che si assumano le proprie responsabilità spiegandoci non cosa stia succedendo ma cosa accadrà certamente perché la pantomima è finita, le tende del palcoscenico sono state spalancate per troppi mesi ma l’arbitro Maranesi le ha serrate bruscamente portandoci alla vita reale, fuori dal teatrino.
Leggere, datato 16 gennaio, su Sky Sport e su altre testate giornalistiche di grido nazionale: “Ora è ufficiale: il Catania passa a Tacopina”, è imperdonabile. Abbiamo sbagliato, tutti, noi per primi. Di acqua sotto i mulini e di lacrime sotto gli occhi dei tifosi rossazzurri, ne sono scorse a fiumi. Sotto l’Etna siamo abituati a gioire, soffrire, illuderci e poi morire. Fortunatamente però, siamo anche in grado di risorgere non solo perché l’incisione di Porta Garibaldi, Melior de cinere surgo, è uno striscione che sventola imperituro nel nostro DNA, ma anche perché ci siamo creati una “scorza”, a suon di patemi, dura come il guscio di una tartaruga.
Non permettiamo che ci svaligino i cassetti pieni di sogni mentre siamo occupati ad azzuffarci. A cosa servirebbe distogliere l’attenzione dall’unica cosa che conta? La tifoseria catanese si è sempre distinta per unione e compattezza, ed è di un’ovvietà insopportabile lasciare che si disgreghi nei momenti di difficoltà.
Quindi, occhi puntati e orecchie tese verso la conferenza stampa di domani a Torre del Grifo. Unitamente, con passione, con senso critico ma costruttivo.
(foto: lasicilia.it)