Quando si gestisce un portale online, bisogna scrivere. Il lettore si aspetta un certo numero di news in un arco temporale non eccessivamente predeterminato. Poi, lo stesso lettore, si lamenta se i contenuti sono ridondanti, scritti coi piedi, scarni o, peggio, fuorvianti. E ha ragione.
Negli ultimi sette mesi abbiamo scritto, detto e sentito di tutto. Ogni organo di stampa locale e nazionale, basti pensare alle più autorevoli testate giornalistiche sportive nazionali che davano per ufficiale il passaggio del Calcio Catania a Joe Tacopina lo scorso 16 gennaio, ha brancolato nel buio, costretto da eventi esterni, talvolta indecifrabili talaltra soggetti a interpretazione.
Quando viene fornita al giornalista o a chi, comunque, si occupa di informazione, la possibilità di decodificare messaggi subliminali o laconici, riempiendo i vuoti secondo il proprio acume e le proprie opinioni personali in merito a una determinata questione, spesso si sbaglia o si contribuisce a ingigantire l’errore a monte.
In particolare, le ultime settimane si sono contraddistinte per la penuria di realtà cui ha fatto da contraltare una insolita prosperità di minchiate. E per favore, i grammatici non storcano il naso. Le minchiate rappresentano il pane quotidiano, non solo a Catania. Ci si riempie la bocca bendati, ignari di cosa si stia ingurgitando. I leoni da tastiera iniziano il loro inverno (tributo a Stefania Auci e al suo capolavoro “L’Inverno dei Leoni”, ci perdonerà per il contesto della citazione).
Anziché scaldarsi col tepore della verità, alcuni preferiscono ibernarsi sotto il freddo glaciale della menzogna o, addirittura, della farneticazione. Qualcuno mente sapendo di mentire, altri in buonafede, altri ancora sparano a zero (sì, sempre minchiate). Non esistono né guru né giornalisti e tifosi onniscienti. Facebook è il papiro degli scribacchini di terz’ordine dove, tutti sparano le proprie, nessuno escluso, anzi chi scrive è il tedoforo della minchiata, colui che ne porta la fiaccola orgogliosamente e, altrettanto orgogliosamente, saetta le proprie.
“Ma c’è un però”, come direbbe un membro del popolino avvalendosi dell’odioso uso rafforzativo di due congiunzioni avversative. Ci siamo attaccati, stampa vs stampa, tifosi vs tifosi, stampa vs tifosi e viceversa, perché tutti mossi da un amore viscerale per il Calcio Catania. Per alcuni, oltre ad essere una fede sportiva, è lavoro, è pane quotidiano. Certi tifosi non si rendono conto che dietro le testate più in voga, ci sono lavoratori. Sì, il giornalista è alla stregua di un panettiere che sforna mafaldine e ferri di cavallo o di un meccanico che cambia le pastiglie dei freni: parla e/o scrive come se il giornale fosse un impasto di acqua e farina da modellare e consegnare al cliente.
Abbiamo commesso errori, tutti, nessun escluso. Additando, giudicando l’operato altrui ed ergendoci a depositari della verità assoluta “tanto tu che ne sai, che ne capisci, sei ignorante”. Non siamo a scuola, nessuno deve giudicare nessuno. Ogni tifoso scrive secondo la propria coscienza, se scade nell’offesa e nel turpiloquio si qualifica da solo ma, in tutti gli altri casi, occorre rispetto per l’idea altrui. Lo stesso vale per il giornalista: possiamo condividere in parte o non condividere affatto un contenuto pubblicato da altri colleghi ma questo non ci autorizza a stigmatizzarli come millantatori o sedicenti operatori dell’informazione.
Il campionato del Catania è appena iniziato e non c’entra nulla la stagione agonistica. Inutile lasciarsi andare a un ottimismo trionfale, da queste parti purtroppo siamo abituati ai colpi di scena tragici, inutile anche leggere Leopardi e immedesimarci dicendo: “Ecco, mi sento pessimista come lui” , perché non tifava Catania e chi ha avuto l’onore di nascere sotto l’Etna e amare i colori rossazzurri è fortunato in partenza. Comunque vada a finire.