C’era una volta una squadra di calcio a tinte rossazzurre che infiammava animi e spalti come se fossero parte integrante della stessa fiamma. C’era una volta il “Massimino” stracolmo in ogni ordine di posto, presente in ogni ordine di idee di qualsiasi tifoso etneo, in qualsiasi occasione, evento o contesto situazionale che esulasse dall’ambito calcistico. Eppure il chiodo fisso batteva sempre sulla proboscide senza punzecchiarla, con un “toc toc” goliardico, con un “tic tic” che scandiva il tempo dei sogni.
C’era una volta una squadra che faceva tremare i top club quelli a dieci, undici cifre. La chioma bionda di Maxi Lopez, una cascata d’oro, quella negra del Malaka Martinez ondeggiava fluttuante nell’aria accecando i difensori avversari mentre Papu Gomez volteggiava sulla fascia, Pitu Barrientos caracollava alla Garrincha eludendo uomini come birilli e Mascara completava la sinfonia sparando al cielo una bomba argentea scagliata con inaudita violenza ma che, in fase di caduta, tirava fuori un paracadute invisibile e, lemme lemme, planava sopra la traversa fino a spegnervisi dentro.
Ma tra oro e argento, balistica e dimensione onirica, c’era una volta Marco Biagianti, scudiero del creato rossazzurro, colui che ne lucidava con maestria le armi e ne curava i cavalli. Il mediano, cavaliere dell’oscurità, pronto a nascondersi pur di far brillare i prodi compagni.
Catania non deve arrendersi. Ci appelliamo all’ultimo baluardo in grado di salvare il club dalla deriva, di provarle tutte ma proprio tutte prima di gettare la spugna. Le interlocuzioni con gli investitori si sono ridotte al lumicino “eppur si muove”, qualcosa ancora tiene in vita la speranza di ricapitalizzare il club, di completare questa sciagurata stagione e di tentare di acciuffare per i capelli, d’oro o negri che siano, qualche investitore fuori di senno deciso a credere in un progetto di rilancio di questo Catania bistrattato, malconcio, trasandato ma ancora vivo. Il vero fallimento sarebbe non tentarle tutte.
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