Catania – Palermo è riconosciuto come “il derby di Sicilia” perché il capoluogo della Regione Sicilia e il capoluogo di provincia con più densità di popolazione si affrontano in una gara di calcio, da sempre, accesa e piena di vicende anche extracalcistiche.
Ma in questa era, nel 2021, dopo una pandemia che ci ha tenuti lontani da amici e nemici, che derby sarà?
Sarà il derby del rosso e dell’azzurro, del rosa e del nero? Solo in campo.
Sarà il derby degli sfottó folcloristici o al limite della sportività? No, perché mancano i tifosi. Qualcuno lo abbiamo visto, ma senza il “botta e risposta” non si gusta allo stesso modo.
Sarà un derby che può consacrare un obiettivo per una delle due squadre? Nada… neanche questo. Forse, serve più al Catania per fare la corsa sul Catanzaro e riacciuffare il quarto posto.
Siamo abituati ad altro. Catania – Palermo non è mai stato “un derby primaverile”, neanche per sogno. Per tanti motivi, in fin dei conti.
Non fosse altro perché nella distinta palermitana comparivano nomi come Pastore, Cavani, Miccoli, Simplicio, Balzaretti…
Oppure perché indossavano le maglie rossazzurre gente come Maxi Lopez, Barrientos, Martinez, Mascara, Silvestre, Ledesma…
Oppure, dimentichiamoci dei nomi altisonanti e dei palcoscenici nei quali militava la “Sicilia”, perché di questo si parla. Dimentichiamoci del piccolo Barcellona e dell’Euro-Palermo: anche questo consideriamolo un dettaglio.
Di importante c’era altro. La cotoletta nel panino, cucinata in fretta e furia, era importante. Immancabilmente unta (ma non troppo perché allo stadio ti cola). Anche la “scaminata” della cotoletta ai tornelli era importante. Un rito che non poteva mai mancare.
La lunga fila era un pegno disposti a compiere, TUTTI. Si aspettava per entrare, confrontandoci con la gente, respirando la tensione e trasudandola dagli stessi pori dai quali entrava. Ci si stringeva, un paio di centimetri in più, per entrare tutti.
Arrivava il solito rompipalle occasionale che pretendeva che rispettassimo le numerazioni dei posti a sedere anche in una giornata come questa. Soprattutto…in una giornata come questa.
C’era il signore dei “tre pacchetti un euro”. Sempre il solito. Ci permetteva di acquistare le patatine che compravamo e finivamo subito, per poi sgranocchiarci le dita.
C’era il giornaletto che ti davano all’entrata, sempre pieno di errori ortografici e di formazioni alla Oronzo Caná, che ci faceva preoccupare non poco ad inizio partita e acuire la tensione già accumulata da almeno 7 giorni.
C’erano anche le curve che cantavano. L’una richiamava l’altra, l’altra invocava la prima. Altro che “geiser sound” e cazzate di queste. Era un “dolby surround catanese 25000:25000”.
Ma che ne sanno i giovani? Non era borghesia il calcio, né carte di tribunale. Era senso di appartenenza. Perché? Perché c’erano anche i palermitani sugli spalti del settore ospiti.
Anche loro cantavano molto forte e noi fischiavamo per sovrastare la loro intensità. La partita era soprattutto sugli spalti…e si rifletteva in campo.
L’adrenalina si toccava con mano. Ogni giocatore era pervaso dalla battaglia “tifosista” negli spalti e si vedeva. Ogni anima rossazzurra, quindi, si sentiva partecipe delle sorti del match e ne assorbivamo gioie e dolori.
Noi, il derby, lo abbiamo vissuto. Noi ritornavamo a casa senza voce e con i timpani fracassati da altrettante voci, come le nostre, che cantavano ancora più forte. Era questo il derby di Catania e Palermo e non l’etichetta che ci siamo portati addosso dopo quello sciagurato 2 Febbraio 2007.
Perché erano importanti le persone con cui condividevi il derby. Oltre la fede, oltre il calcio, per chi c’era e che oggi merita un cuscino rossazzurro accanto al nostro cuore.
Pietro Santonocito
Complimenti da un palermitano per questo articolo
Grazie mille !