Proverbi della gente. Vestigia di un antico mondo che, sembra, davvero troppo lontano per assomigliare al nostro.
Rievochiamo il “bisogno” di cibo mirando alla gola del lettore, come punto di approdo delle sensazioni goderecce. Poi, estendiamo il concetto di un paio di centimetri, un pochino più in là del nostro intestino.
Da questa espansione proverbiale vogliamo partire, con delle forti precisazioni iniziali: chi ha cibo a volontà, normalmente, non si accontenta e ne vuole ancora.
Ergo: sia il digiunante che il saziato (o sazio di essersi rimpinzato) si lamentano di ciò che NON hanno. Vero. Apparentemente, sembrano strillare allo stesso modo, eppure c’è un enorme differenza di modi e cause scatenanti.
Proverbiali analogie calcistiche
Dacchè il calcio è una delle metafore più comprensibili della vita, vale la pena scovare l’analogia calcistica, specie in un ambito così controverso come il Catania Calcio.
Perché, talvolta, si dimentica. Si dimentica lo strazio di una vicenda che non vogliamo più ricordare, come l’assurda compravendita (senza acquirenti ma solo venditori) che ci ha catapultati in terza serie.
Si dimenticano le parole di lomonachiana accezione, del tipo:”Siamo più forti del Foggia”, “Noi non DOBBIAMO vincere, VOGLIAMO vincere il campionato”, “Ho effettuato 1873987 transazioni!!!”. E si continua per la stessa strada.
Predicano calma, unione, collaborazione, ringraziandosi ipocritamente, sfoggiando inesorabilmente la coccarda da eroi, per aver salvato una matricola di cui nessuno, fino a qualche anno fa, conosceva la sequenza numerica. Un mood che conosciamo, oramai, alla perfezione e…ci fa rabbrividire.
Per queste ragioni, il “sazio” continua a cibarsi delle sue stesse parole, predicando pace, amore e fratellanza, mentre strofina a dovere la coccarda da eroe davanti a chi si fa incantare dallo sbrilluccicare, chi lecca la suola delle scarpe e chi non farà mai parte della congrega perché preferisce il digiuno alla sbobba.
Siamo tutti a digiuno, in fin dei conti. Qualcuno che allunga la lingua a misura piede crede di assicurarsi le provviste per l’inverno, sebbene anche lui sarà gettato in pasto ai digiunanti al momento di trovare un agnello sacrificale. Poveri di spirito, lingue senza saliva…
Non fa più testo l’ennesima sconfitta indegna (senza nemmeno provarci abbastanza) contro l’ennesima squadra X ringalluzzita dall’ennesima impresa storica al Massimino, perché toglie, anche ai vincitori, il piacere di tornare come eroi in patria. Oramai non è più una rarità.
L’importante è che la coccarda splende ancora sul petto. In fondo, chi parla dalle lontane lande di un calcio giocato con soli 5 difendenti è uno che rema contro, perché infastidisce.
Dimenticate un aspetto fondamentale: voi parlate con la coccarda che vi siete messi da soli al petto, mentre lui parla con una fascia da capitano che ha conquistato, onorando la maglia, la storia e rispettando il dolore di noi tifosi quando si è perso in terre desolate.
Questa è la differenza. Perché “u saziu non criri o diunu”…e nuattri non ni mangiamu u pani scurdatu…e mancu do cozzu.
Pietro Santonocito