Ho salito, dandoti il braccio, almeno un milione di scale…
Uno dopo l’altro, piede sinistro e piede destro. Salivo piano, salivo. Primo ed ultimo, ultimo gradino e poi l’apoteosi.
Suono, voce, cori. Festa prima della partita, festa dopo la partita. Non era solo una voce, non era solo la lettura delle formazioni.
Sentire, udire, ascoltare: tre verbi. Una carovana di emozioni, avvolte nelle brezza di chi dona spensieratezza, nella scia di chi “s’arricria” o di chi, in fretta, vuole andar via.
Parole che cantano, senza bisogno di note. Bolgia nella bolgia, sussulto nel fragore. Quando la terra tremava e l’aria si squarciava, il tempo si fermava.
Suono di potenza. Potenza di chi amava il suo mestiere e la sua squadra del cuore, in un mix perfetto di amore e passione.
Per noi tutti eri qualcosa di più di una semplice voce. Guida dei cuori infranti. Grinta e sostegno nelle difficoltà. Eruzione vulcanica quando vittoria diveniva, mentre i nostri cuori in su si levavano. Un po’ mamma e un po’ amica.
Mamma lo eri per due, moglie, donna di valore. Ti hanno conosciuto in pochi, ti hanno apprezzato in tanti. Le persone grandi non lasciano tracce visibili. Vivono per sempre, lasciando solchi profondi nei nostri cuori.
Poi tu, ogni volta, cantare la gioia, il dolore, il poteva essere e non sarà mai più. Sostegno, ritegno, lavoro e decoro. Mai assente, sempre sorridente.
Il “grido” più forte, da spalancare le porte, alzarsi in cielo e portare il sereno. “Per il Catania ha segnato…”, non importa chi era stato: tutto lo stadio lo aveva gridato.
E quando “le 3 M” pronunciasti, più forte ancora ti sentii, forare il cielo a colpi di decibel, con tutta l’aria dei tuoi polmoni. Vita ne avevi, da vendere e rivendere.
Come faremo senza di te? Ci tremano le gambe, la voce viene meno. Quasi non si sente più. Perché eri voce anche per chi non aveva voce, eri canto e vanto per chi non aveva tanto.
Non saliremo, non saliremo, ancora. Siamo pandemici figli di un DPCM minore. Immortalati sulle schiere dei nostri divani, a trambugiar telecronache senza colore, senza sapore e di indubbio folklore.
Digerire poi, quando vuoi, se vuoi. Il vizio di mangiare bene è un capriccio che nessuno ci può togliere. Saper di avere avuto il meglio, significa sentirsi ricchi, ma al contempo derubati: di una parte di noi e la gola subito si annoda.
Lo eravamo e non lo saremo più, probabilmente. Qualcuno il tuo posto prenderà, spero con onore e solidarietà. Chi vivrà, vedrà…
Non saliremo…non saliremo, ancora. Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale…
…ed ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
A Stefania,
con profondo affetto,
Pietro Santonocito
(fonte foto: itCatania)