Quanti tifosi sono stati costretti da cause contingenti a lasciare Catania per migrare verso i lidi gelidi del Nord Italia o, peggio, fuori dai confini nazionali. Il tifo per i colori rossazzurri, però, è qualcosa di imperituro, non conosce tempo né spazio, è impresso nell’anima ancor prima che nella stampa di una sciarpa.
Per tale ragione la nostra redazione ha ritenuto opportuno dedicare una rubrica ai tifosi DOC che per motivi di lavoro o di famiglia hanno lasciato il capoluogo etneo e, tra saudade e nostalgia, continuano a seguire le sorti del Catania in TV, attraverso la stampa, in qualsiasi modo possibile.
Oggi vi raccontiamo la storia di Salvatore Pappalardo, allenatore, professionista come pochi, con esperienze persino nella lontana e affascinante Cina.
Salvo innanzitutto è un piacere e un onore intervistarti. Ci racconteresti le tue esperienze all’estero da allenatore?
Ciao Marco, ricambio con molta stima…il piacere è tutto mio. Dunque, le mie esperienze all’estero sono sostanzialmente due: in Spagna e in Cina. Per la precisione, in Spagna ho lavorato con il CD San Francisco di Maiorca. Un club satellite del RCD Maiorca, dove sono stato uno e trino. Nel senso che per poter avere uno stipendio che mi permettesse di vivere, avevo la guida della squadra Cadetes (U15) primo anno, la responsabilità dei portieri di tutto il settore giovanile e facevo da secondo/match analyst/learning&development per la formazione Juvenìl (quella che da noi era chiamata Berretti). È stata un’esperienza molto formativa, soprattutto dal punto di vista metodologico: il confronto con gli altri, con il giusto atteggiamento, è sempre foriero di crescita. Per quel che riguarda la Cina, invece, sono stato nella regione della Inner Mongolia e la città si chiama Bayannur.
Se l’esperienza in terra iberica è stata formativa dal punto di vista tecnico, quella cinese ha richiesto forti doti di adattamento e flessibilità. I miei ragazzi del Viagrande (2017/18), che saluto con molto affetto, scherzavano sul fatto che andassi lì per…il “progetto” (eheh). Certo, non nascondo che sono dovuto andare fin lì per essere trattato da professionista dal punto di vista economico. Ma posso anche dire che (come per tutte le cose) se lo si fa solo per quello, non si è destinati a durare.
Un breve excursus sulla tua carriera da “mister”. Quando e dove hai iniziato?
Non so se hai mai sentito parlare dei campi Karmel…(sorride, ndc). Beh, ho cominciato con l’Acireale nel 2012. Solo che in quel periodo avevamo scuola calcio a Catania (appunto al Karmel) e il settore giovanile diciamo sparso. Quindi per cominciare, il Direttore Pulvirenti mi diede Primi calci, Pulcini ed Esordienti. Dovevo poi dividermi (anche qui) tra settore giovanile dove allenavo i portieri e scuola calcio. Una grossa mano mi arrivò da Umberto Fabiano, probabilmente lo conosci (sorride di nuovo, ndc).
Dopo due anni ad Acireale, ho avuto la fortuna di lavorare per il Calcio Catania, poi un anno in Spagna, quindi Viagrande, la Cina e Giarre quest’anno.
Cosa ti ha lasciato l’esperienza al Calcio Catania? Di cosa ti occupavi?
Per chi come me si approccia a questo mestiere con lo spirito di chi deve apprendere, Torre del Grifo è stato come andare all’Università. Andavo a vedere gli allenamenti degli altri allenatori proprio per “rubare” quello che ritenevo particolarmente interessante. Sono stati gli unici anni dove ho avuto la responsabilità dei soli portieri, di questo un po’ ne soffrivo. Oltre ai guardiani della rete, ho potuto continuare in quello che pensavo (e penso) sia fondamentale per i giovani: la formazione completa dell’atleta. Infatti, con la collaborazione di tutto lo staff creammo una piattaforma in cui mettevamo sia contenuti tecnici (per esempio, clip delle partite giocate in cui si facevano vedere errori e le cose buona fatte), sia formativi in generale (quindi alimentazione, stile di vita, allenamento mentale).
Dove ti trovi adesso “giramondo”?
Al momento mi trovo a Torino, insegno Economia in una scuola superiore. Ho dovuto lasciare la Sicilia e (fisicamente) il Giarre Calcio a fine febbraio perché con il lockdown e la pausa prolungata sono venute a mancare le risorse economiche.
Ieri è venuta fuori una lettera-bomba di Joe Tacopina. Ritieni che ancora ci siano i margini per chiudere la trattativa positivamente? Pensi, da cittadino globale, che l’eventuale cambio di proprietà possa segnare una svolta anche in senso manageriale oltre che strettamente sportivo?
Per rispondere alla prima domanda sarebbe necessario conoscere lo stato delle cose. Sinceramente io sono sempre per tacere quando non si ha piena conoscenza della situazione. Mi sforzo nel dire che dalla lettera traspaiono le buone intenzioni di Tacopina, non vorrei sia solo un misunderstanding.
Riguardo la seconda, io spero che vi sia una svolta che dia una vision sostenibile. Lo raccontano i fatti, anche i grandi club navigano in brutte acque: vedi Super League. È necessario ripensare in termini economici e sostenibili il sistema azienda. Cerco di comunicare questo pensiero da qualche anno, sia in qualche articolo scritto che qualche progetto presentato anche al Calcio Catania. Secondo me i club calcistici dovrebbero trasformare ciò che è prodotto all’interno dell’azienda in un bene vendibile sul mercato.
Nel particolare mi riferisco a tutto quel know how, a quelle conoscenze che giornalmente vengono fuori dal lavoro sia in campo che fuori. Facciamoci caso, tra settore giovanile e prima squadra si fanno almeno 35 allenamenti settimanali. Ci sarebbe materiale per libri, webinar, articoli, corsi…
Ovviamente non mi riferisco solo al campo, anche chi sta fuori ha delle conoscenze pratiche professionali spendibili in termini economici: vedi lo scouting, la comunicazione (il buon Scaltriti avrebbe da insegnare), la segreteria, ecc. ecc.
Il club calcistico deve essere ripensato come un’azienda e spero che Tacopina da imprenditore qual è riesca nel suo intento di concludere. Un augurio al Catania ed ai suoi tifosi.