Limiti tecnici: tanti. Limiti emozionali: nessuno. Quel ping-pong d’amore contraccambiato, squadra-curva-squadra, con uno scambio in palleggio di fervidi sguardi “senza farsi” male, senza cercare il punto ma puntando alla felicità altrui, riconcilia con il calcio.
Catania aveva bisogno non tanto della vittoria sul campo ma di una prova d’orgoglio imbastita da undici leoni capaci di ruggire felini e, altresì, produrre flebili miagolii e spalancare occhioni dolci a fine partita dinanzi alla schiera di anime rossazzurre, in pena sì, ma ammaliati da cotanta umiltà e nobiltà d’animo.
Coraggio, abnegazione, professionalità, attaccamento alla maglia. I calciatori lasciano il manto del “Massimino” madidi di sudore, con i calzoncini infangati, la sabbia del drenaggio negli occhi e il ciuffo, per chi ce l’ha, arruffato e scarmigliato.
Non è solo Moro a incantare con la sua possanza e suoi numeri da predestinato. E’ Rosaia che fa legna come un antico falegname, caricandosi sulle spalle macigni che schiaccerebbero Golia fungendo da schermo e da apripista alla manovra etnea; è Zanchi che percorre la fascia sinistra arandola per bene e facendo allegramente a sportellate con gli avversari; è Greco che lotta su ogni pallone come se fosse l’ultimo della sua vita prima dell’addio al calcio (per fortuna è giovanissimo!).
Negli occhi della tigre di Francesco Baldini, ci identifichiamo tutti. Elefanti feriti ma stoicamente in piedi, caracollanti ma fieri, indomiti e refrattari a tirare i remi in barca sfidando intemperie e maree di dubbi. Ci ricorderemo sempre di questa squadra, di questo gruppo. Grazie ragazzi! Comunque vada a finire.