Stefania Sberna intona i nomi dei protagonisti che scenderanno in campo. Userà le corde vocali delle figlie Giulia e Federica come strumento di propagazione delle sue celestiali onde sonore e il loro timbro, così familiare, vibrerà nei nostri cuori alle 14:25 del 12/12/2021, prima che Catania e Palermo calchino l’erba del “Massimino”.
Il Catania ha vinto 2-0. Un piccolo miracolo sportivo se guardiamo alla classifica e se ci impelaghiamo tra le scartoffie documentali alla ricerca di un brivido malefico. Eppure nel perenne duello “Davide contro Golia”, i rossazzurri vestivano senz’altro i panni del primo e, anche per questo, gettando il cuore oltre l’ostacolo hanno colmato il gap tecnico annientando l’avversario. Ma non si tratta solo di questo.
In Curva Sud, in una giornata poco ventosa quasi dalle mire primaverili, una folata improvvisa ha levato le sciarpe dei tifosi verso il campo da gioco. La sensazione che l’onnipresente Caterina Lopez fosse lì, al solito posto, inneggiando ai suoi beniamini è diventata realtà quando, poco dopo, Kevin Biondi è stato atterrato in piena area di rigore e Luca Moro ha trasformato con freddezza da veterano il tiro dagli undici metri.
Ciò che trascende l’uomo affascina e confonde. Non si tratta nemmeno di credenti o miscredenti, è più una questione spirituale, qualcosa che ciascuno vive a modo proprio secondo dettami morali plasmati nel tempo, ciascuno con la propria religione, col proprio dio, con le proprie convinzioni. E non esistono convinzioni giuste o sbagliate: esiste solo la fede, in ogni sua forma, come anello di congiunzione tra la propria anima e il trascendente.
A noi piace pensare che ieri pomeriggio, durante una semplice partita di calcio di Serie C, oltre alle passerelle di presidenti, cariche comunali e di Lega, ce ne fosse un’altra, parallela, di quelle che abbiamo sempre ammirato specialmente ai tempi della Serie A: con giovani sportivi catanesi, delegazioni meritevoli, e la mascotte “Tino l’elefantino” con la maglia numero 46 che agitava le sue improbabili zampe umanizzate.
Un parterre d’eccezione dove il sorriso di Stefania riaccendeva l’amore intorpidito degli scettici e la sciarpa di Caterina svolazzava fluttuante disegnando un cuore rossazzurro. L’ebbrezza della vittoria, o forse sarebbe più adeguato definirla iperbolicamente “ubriacatura”, ci restituisce solo una minima parte di ciò che il cielo ci ha suggerito ieri pomeriggio a suon di segnali divini: tra le nuvole intermittenti che aleggiavano sul “Massimino”, tra il vento frizzante che soffiava a ritmo irregolare e tra i sussulti dei gol cantati da Giulia o da Federica.
O volete farci credere che il 28 maggio 2006, sì, proprio quel 28 maggio, il tocco lemme lemme di Umberto Del Core non abbia tratto linfa vitale dallo sguardo di Angelo Massimino per riacquistare velocità e varcare la linea di porta?
Ognuno con le proprie idee, con le proprie credenze. Ma il vecchio “Cibali” ne ha viste tante, troppe. E i ricordi si sedimentano nella coscienza di tutti noi come nell’erba, rizollata, sdradicata, ma dal sottosuolo stratificato come un almanacco imperituro, o come tra gli spalti, dove al naturale ricambio generazionale fa eco l’eterno ricordo dei nostri cari che quel settore, quella fila e quel posto, non lo hanno mai lasciato davvero. E’ come all’esterno dello stadio, tra le mura di cinta: i murales della vita, dipinti e ridipinti quando le intemperie tentano di cancellarne orme e tracce.