Siamo tutti Giampiero Mughini o cosa? Vogliamo rinnegare le nostre origini, inseguire chimere dalle mentite spoglie e affidarci a chi ci ha inferto il colpo ferale o darci una svegliata?
Solo chi non ama il Catania potrebbe fidarsi di chi se n’è liberato per sempre. Il Catania è morto, già il 22 dicembre, con funerali posticipati al 9 aprile. Nella camera mortuaria era possibile visitare il defunto per mesi, il trapassato liotru rossazzurro, ciò che restava della gloriosa storia che non coincide con un ricco palmares, anzi tutt’altro, eppure la bacheca vuota di trofei e colma di immagini non la baratteremmo con nessuna Champions League. Noi.
Noi che non siamo i modaioli, noi che non modificavamo le nostre esultanze ai gol di Maxi Loepz piuttosto che di Giuseppe Mosca, noi che il Catania era disancorato dalla categoria di militanza, era un’entità a se stante che viveva nei nostri cuori, parlava coi nostri cori, vedeva coi nostri occhi.
Non perdoneremo, mai, chi ci ha affossati né chi ci si è preso gioco di noi tra una amatriciana e una carbonara al veleno. E non dimenticheremo chi ci ha fatto toccare il cielo con un dito per poi lasciarci sprofondare nel buco nero dell’indebitamento. Catania è un pianto lungo 76 anni, dal primo vagito all’ultimo respiro, esalato con estenuante stanchezza.
Amiamola questa martoriata Catania: nel momento del bisogno non s’abbandona chi si ama. Puntare il dito è pratica assai semplicistica quando la città è allo sbando, quando il bando viene sostituito da una manifestazione d’interesse a discrezione e insindacabile giudizio della stessa amministrazione comunale che ha ridotto la città a una terrificante mala copia di se stessa.
Ma non siamo rinnegatori, non siamo come Giampiero Mughini: siamo orgogliosi di essere catanesi e quando cantiamo “Grazie a dio sono catanese”, lo urliamo a squarciagola con ancestrale convinzione, con purezza di sentimento, e le “strisciate” hanno per noi lo stesso valore di chi riga le nostre auto con un chiodo.
Leggiamo di troppi detrattori, aleggia un eccessivo menefreghismo anche tra i nostri concittadini anche tra chi si professa “tifoso vero”. E’ questo il momento di sbandierare con orgoglio le nostre origini, non quando si batteva l’Inter del triplete, non quando coi lacrimoni ricordavamo cinque giorni fa la promozione in Serie A del 28 maggio 2006. I ricordi non rappresentano un antidoto alla disperazione, anzi spesso somigliano più a una cura palliativa per camuffare il dolore e trasformarlo, pericolosamente, in rabbia verso il Catania. Ma che colpe ha il nostro Catania? Cosa c’entrano i nostri colori?
Catania è il nostro “mantra”, è espressione sacra del nostro profondo credo calcistico che si esplica e si esplicherà solo attraverso due colori, rosso e azzurro, uno stadio, il “Massimino”, un centro sportivo “Torre del Grifo”, che prima o poi tornerà verso di noi. Amare Catania e Catania, è la stessa cosa: la squadra di calcio e la città sono espressione della stessa storia, come il martirio di Sant’Agata: di distruzione e rinascita, sofferenza e gioie, siamo tutto e il contrario di tutto, siamo ostinatamente bipolari. Insomma, semu catanisi. Tutto è concesso, meno dimenticare.
(Fonte immagine: Giornale di Sicilia)